Sono passati esattamente undici anni dal mio Makπ, una sorta di ballo di fine anno che gli studenti del 5° liceo organizzano a circa cento giorni dall’esame di maturità. Un piccolo evento, una tappa per tutti noi agnonesi, che vediamo quell’occasione come un momento per festeggiare il passato e brindare al futuro. Sì, dai un po’ come succede nei migliori film americani.
Il mio Makπ, il nostro, quello del mio anno non andò esattamente come volevamo. Per una serie di motivi che non sto qui a raccontare, andarono persi alcuni giubbini e le persone che avevano partecipato, in qualità di ospiti, ovviamente se la presero. Ci sono piovute addirittura un po’ di bottiglie addosso… me lo ricordo bene. Benissimo!
Il punto però non è la sventata rissa, ma ciò che quel ballo, chiamiamolo così, significava per noi. Un rito di passaggio, un momento in cui, in qualche modo, si diventava grandi.
Erano circa le 7.40 del mattino, quando, a fine serata, mi svestivo per infilarmi nel letto. Distrutto, ma felice. Ricordo che sorridevo al buio delle persiane chiuse totalmente. Ce l’ho fatta. Ora verrà la maturità, poi l’università a Roma e poi entrerò in una redazione e comincerò a scrivere. Prima o poi scriverò un romanzo.
Era questo il mio leitmotiv. E, ammettiamolo, ognuno di noi ne ha uno. Quello che però mi chiedo è, ma questo prima o poi arriva mai? O meglio: lasciamo che arrivi?
“La differenza tra un sogno e un obiettivo è semplicemente una data”.
Walt Disney si è pronunciato così. Una frase asciutta che, in passato, mi aveva colpito per il suo pragmatismo. Io ho sempre creduto che se vuoi qualcosa, vai e te la prendi. Vai e la fai.
E forse è così, ma che succede se abbiamo così tanto desiderato quel qualcosa che, alla fine temiamo ci deluda? E se il nostro sogno nel cassetto fosse anche il nostro peggiore incubo?
Era il 2011 quando finalmente riuscì ad andare a vedere Londra. Da studente di lingue, amante dell’inglese, avevo immaginato a lungo quel momento: me sotto il Big Ben, perso a scrutarne la vetta, apparentemente irraggiungibile. Ricordo perfettamente la mia espressione delusa nel constatare che quella torre non fosse così imponente come avevo sempre creduto. Sì, una piccola delusione che, fortunatamente, fu controbilanciata dai parchi fogliosi, l’architettura e uno skyline unico.
Mi chiedo però se tutti noi temiamo di dire “embè tutto qui?!” davanti al Big Ben che abbiamo aspettato, magari addirittura per una vita intera.
E se, invece, quel Prima o poi nascondesse il nostro accecante istinto che ci porta a mettere tutte le nostre esigenze sempre in secondo piano?
Il punto è che, troppo frequentemente, quel prima o poi diventa un mai. E, lo sappiamo, sono i mai a farci il peggiore dei regali: il rimpianto. Il rimpianto è amaro, tagliente. E brucia, a lungo. Brucia ogni qual volta si affaccia nella nostra testolina. Il rimpianto è forte, è in grado di rovinarci una bella giornata di sole, nel bel mezzo di un campo fiorito. Riesce a far comparire un’ombra dietro i sorrisi più caldi di fronte all’obiettivo. Il rimpianto è quel magone che ti soprassale quando sei in pista, a scatenarti con i tuoi amici. Il rimpianto inaridisce, rovina, logora…
E, credo, che la cosa peggiore sia che spesso siamo noi a riempirci la vita di rimpianti. Sì, proprio grazie a tutti quei prima o poi che ci ripetiamo per ricordarci che “ci sono altre priorità” .
Beh, la verità è che sono tutte cazzate. La verità è che in quel mare di bollette, di to-do list, di cose da fare, la priorità è quel prima o poi. Ecco: forse dovremmo imparare a intervallare e, non so, cominciare a inserire nelle nostre liste dei buoni propositi tutte quelle cose che vorremmo fare poi. Perché altrimenti rischiamo che quel poi diventi un mai.
E no. Questo non possiamo permettercelo. Non dobbiamo.
Mi piace proprio come racconti le tue storie, i tuoi ricordi e le tue conclusioni.
Complimenti
Biancamaria
Ciao Bianca!
Ti ringrazio. Diciamo pure che è l’unico modo in cui sono in grado di fare un po’ d’ordine e, adesso, in questi ultimi mesi è quello di cui ho bisogno. Fare chiarezza e cercare di restare ottimista. Grazie per avermi letto e per avermi dato un riscontro. 🙂
GRAZIE GRAZIE GRAZIE! <3
Scrivere la lista dei sogni è necessario. Anche a ciò che non si ha ma si desidera magari semplicemente vedere bisogna dare delle priorità. Il tuo Big Ben (il tuo sogno) ti ha deluso, ma il suo contesto ti ha arricchito. Quindi non hai perso il tuo tempo. Viaggia tanto viaggia sempre, con la mente e con il corpo. E non aver mai paura di farlo. Non scoprirai mai “se ne vale la pena o no” se una cosa non la fai. Ormai viviamo in un mondo dove (pandemia a parte) tutto, o quasi, è realizzabile, e quindi quel “poi” (che diventerà inevitabilmente un “mai”) dobbiamo renderci conto che non è una difficoltà ma una scusa per non realizzare i nostri sogni. S.
Ciao Salvatore!
Sono d’accordissimo: avere una dream-list in costante aggiornamento è la strada per andare sempre avanti, migliorare, puntare più in alto. Hai ragione. Una volta a Londra ho scoperto che c’era molto di più del Big Ben. Che il Tamigi è affascinante, che ogni rione, strada, quartiere, casa, ha molto più da raccontare. Perciò, assolutamente: viaggiare. Sempre. In Italia, in Molise, all’estero. Purché si viaggi va sempre bene, va sempre meglio.
Grazie per avermi letto e grazie per aver trovato il tempo di scrivere il commento.