Aerei

un cielo stellato che ispira

È sera. Sono in giardino e ascolto i cani mangiare, rumorosamente. Il cielo è bellissimo, stellato, di un blu intenso, ma intervallato da tantissimi brillanti che risplendono. È da film, anzi da foto del National Geographic. È una droga, non riesco a smettere di perdermici, lo divoro voracemente. 

Improvvisamente vedo qualcosa cambiare, però. In mezzo alle costellazioni particolarmente visibili svettano un paio di lucine lampecggianti. Un aereo, lento si muove su un alto. Lo guardo. Come sempre comincio a cercare di immaginarlo, di vederlo meglio: quale compagnia sarà? Il solito RyanAir dagli interni gialli e blu? O si tratta di una compagnia più grande e costosa? Immagino un uomo in giacca e camicia che scruta le montagne, giù dal finestrino. Lui da lassù vorrebbe sapere che facciamo noi quaggiù. Si domanda chi sia così pazzo da vivere sperduto in un paesino sulle montagne. Perché un borgo così piccolo, se riesce a vederlo, abbia tanti campanili. Intanto le luci che emette il veivolo lo distraggono. Prima la rossa sull’ala destra, poi la bianca sulla sinistra, dove lui siede. 

Mi sembra di vederlo quell’uomo. Anzi lo vedo, nel suo aereo semivuoto, deserto. Viaggia quasi solo praticamente. Con la sua immancabile mascherina, che rende l’aria rarefatta e tagliente più insopportabile. Le hostess, probabilmente in cassa integrazione, si annoiano. Se ne stanno sedute, nessuno suona, nessuno ha bisogno di un cuscino in più. Nessuno vuol sapere che succede o tra quanto si arriva. 

C’è silenzio, rassegnazione. Nessun bambino urlante. Se qualche bimbo viaggia, ha quasi paura di muoversi perfino lissù. 

Io, con lo sguardo perso nel cielo, e gli occhi attaccati sull’aereo che sembra percorrere un’orbita infinita, mi chiedo: viaggerò mai più? Ci salirò ancora su un aereo, con la voglia di scoprire posti nuovi? Torneremo a viaggiare? Perderemo mai la paura di toccare una maniglia, un sedile, una ringhiera? O meglio: ci sarà possibile farlo? 

C’è una specie di esercizio in psicologia. Si chiama ABC, uno schemino che ci permette di capire cosa sentiamo e come ci comportiamo: analizzi la situazione, il pensiero che ne deriva, l’emozione che genera e il comportamento.

Provo a prendermi un minuto ancora, sperando che i miei cani non finiscano di mangiare e che mia sorella non mi intimi a tornare in casa per la cena. Vado oltre questo tentativo di immaginazione, la situazione so qual è e conosco benissimo il numero di domande che mi affollano la mente già da qualche giorno, da quando questo piccolo paese è tornato a toccare con mano gli orrori del Covid. Arrivo quindi all’emozione e sento solo una grande angoscia, una terribile paura. Timore di non poter riscoprire ciò che prima era scontato e che a lungo abbiamo sottovalutato: la libertà. Sono terrorizzato all’idea che questo incubo possa protrarsi all’infinito, che non si possa mai tornare alla vita di prima. Vedo un futuro di mascherine, di vite in casa, relazioni e rapporti rarefatti. Tutto ciò è aberrante e non posso far molto. Non faccio nulla, non reagisco. Resto impietrito, nel silenzio della sera, rotto solo dal croccante masticare dei miei cani.

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