Nessuno si fa di casa una cella, e Stefano si sentiva sempre intorno le pareti invisibili.
Comincia così il secondo capitolo de “Il carcere” di Pavese. Ieri mentre lo leggevo, cullato dal vento fuori casa, nel letto mi sono chiesto se avessi azzeccato libro, visto il momento. Sì, mi ero ripromesso di leggere di più, una volta finiti gli esami universitari e, ora che sto scrivendo la tesi, ho sicuramente più tempo libero.
Così, mi sono avvicinato alla pila dei libri da leggere e ho deciso che avrei ricominciato da Pavese. Primo racconto della raccolta, “Il carcere”. Sostanzialmente, la faccenda narrata è semplice: Pavese si ispira al suo esilio e racconta la vita di un esiliato. Curioso, mi sono detto. Siamo tutti un po’ sotto esilio al momento o, forse, è così che ci sentiamo, costretti ai domiciliari, ma mi chiedo se lo siamo sempre un po’ stati.
Mi torna in mente la maestra D. che mi guarda inorridita, con i suoi piccoli occhi neri, nascosti dietro gli occhialetti tondi. Prende il foglio del mio temino e mi dice: – Guarda che pasticcio, Giovanni. Sei un pasticcione. È da rifare! –
Strappa in due, in quattro, in sei parti il foglio. Lo riduce a brandelli e non mi resta che ricominciare a scrivere da capo. Mi sento un attimo mortificato. La classe pensa che sono un pasticcione. Una tragedia, al tempo. Un dramma per un alunno mediocre di meno di dieci anni. È così, con l’umiliazione, che ho imparato che tutto andava rifatto e rifatto fino alla perfezione. Che se non era perfetto non poteva essere consegnato. Che se non era preciso non poteva vedere la luce del giorno, doveva restare in un cassetto, condannato all’oblio. Finché, come le definiscono i latini, un lento labor limae lo avrebbe reso stupendo. Incommentabile.
Ci ripensavo oggi, sotto la doccia. Sei un pasticcione…
Mi insaponavo e… Sei un pasticcione…
Mi massaggiavo la testa con lo shampoo e… Sei un pasticcione…
E tu sei stata una stronza, maestra! Ecco. Oggi me ne sono reso conto. Proprio mentre lavavo via tutto il sapone, mi sono reso conto di quanto sia stata infame quella donna, che mi, ci, ha dato il tormento con le sue correzioni a penna rossa che non hanno fatto altro che insegnarci che chi eccelle, eccellerà e chi invece è un pasticcione, non va bene.
Oggi, mentre l’acqua calda mi scorreva addosso, ho capito che è stata una vera stronza. Che nel mio lavoro, quando restituisco i commenti a un collega e gli chiedo di lavorare ancora a un testo, non è che gli cestino il file e gli dico di rifarlo. Gli do modo di capire dove secondo me andrebbe ottimizzato il tutto, modificato. Invece lei no! Lei mi ha insegnato a buttare e ricominciare. Mi ha fatto capire che se è brutto, è meglio saltare a pié pari il tutto. Che certe cose non possono essere salvate, se non butti tutto a terra.
E, devo ammetterlo, maestra. Ci stavi riuscendo di nuovo! Sono anni che inseguo questo piccolo sogno. Quello di mettere nero su bianco qualche riflessione e ci ho provato. E mi sono arreso perché ogni post era imperfetto e mi sentivo semplicemente un pasticcione che stava facendo un goffo tentativo. Quello di scrivere un qualcosa a cui nessuno magari darà peso. O forse sì.
Ma, vedi, maestra, il punto è che non tutto è perfetto. Che certe cose sono belle e affascinanti proprio perché sono un pasticcio. E che esisterà il giusto e lo sbagliato, ma poi, tra la penna rossa e quella blu, ci sono tantissimi colori. C’è un arcobaleno di sfumature e non è detto che tu possa capirle. E che se imparassimo a guardare questi colori nella loro bellezza, anche il nero potrebbe essere felice e il grigio emozionante. Prendi quello che sta succedendo. Una pandemia, le morti, la contrazione economica. È un incubo, figlio di uno di quei registi che produce film apocalittici americani, eppure c’è qualcosa di buono, in tutto questo.
Ci siamo resi conto che la ricerca scientifica merita più investimenti. Che gli affetti sono fondamentali e che i nostri nonni vogliono essere abbracciati. Ci siamo accorti che il Natale non era solo scartare i regali, ma anche confusioni nella sala piena di persone, le risate per la tombola. Abbiamo capito che a volte le soluzioni ai problemi devono essere improvvisate e che si può, si potrà, sempre fare di meglio. Tuttavia, ci sono occasioni, in cui non è importante fare bene, ma fare.
Ecco. Ora ripenso a Pavese. A tutte le volte che siamo stati noi a metterci in prigione. A non osare perché non era ancora il momento, non era perfetto, non era giusto per gli altri. Certe volte siamo stati noi a mettere i nostri bisogni in zona rossa e le nostre aspirazioni in zona arancione. Ci siamo imposti di aspettare, di lavorarci un po’ più in là e così abbiamo rimandato e rimandato e rimandato.
Sì. Se c’è una cosa che ho capito è che spesso posticipare ha poco senso. Che tanto se sentiamo il bisogno di fare qualcosa, torneremo a farlo. Che i pasticcioni sono belli proprio perché fanno pasticci. E cadono e inciampano e sporcano tutto, ma portano un po’ di vita.
Sì, maestra. Sei stata una stronza! Sei stata tu, in qualche modo, a mettermi in arancione, con la tua penna rossa. Sei stata tu il mio primo DPCM. E, oggi, dall’alto dei miei 29 anni non posso che dirti che sono stufo del tuo lockdown.
Forse è questo quello che dovremmo fare tutti. Metterci un po’ di più in zona gialla. Dire alle nostre maestre D. che possono mettere nel cestino la loro opinione, come hanno fatto con le nostre bozze, stracciate.
Bravissimo, Giovanni 👍 Sono felice di rendermi conto che io, invece, facevo bene a fidarmi di te edi quello che avresti realizzato fuori dalle pareti scolastiche. Ad maiora 🤗
Grazie, prof.!
Lei, al contrario della maestra D. è stata una delle uniche a credere in me. E di questo gliene sarò grato a vita. Speriamo davvero di non disattendere i suoi pronostici.
Complimenti davvero Giovanni!!! Continua a scrivere di getto senza pensare a matite rosse o ble’. Bravissimo!!!
Buongiorno professoressa!
Grazie mille davvero. Ce la metterò tutta per mantenere fede a questa promessa: scordarsi delle matite rosse e blu. Fare solo quello che mi sembra giusto fare e scriverlo come credo debba essere.
Grazie ancora per l’incoraggiamento!
Giovanni non mi piace l’epiteto con cui ti sei rivolto alla tua maestra perché ognuno di noi ha diritto alla buona fama! Benché non menzionata, la tua maestra è riconoscibile. Io stessa, se faccio mente locale, riesco a recuperare, nella mia memoria, almeno un volto. Però hai ragione quando dici che tra il rosso e il blu ci sono mille sfumature e che non bastava dirti che eri un pasticcione se non ti si spiegava il perché e il come. Una cosa è certa: la scrittura è opera di limatura, di fare e rifare, non è arte facile, non è per tutti.
Buongiorno MariaPia. Non volevo offendere o infamare nessuno. Diciamo semplicemente che questo voleva essere uno sfogo e, in quanto tale, non mi sono risparmiato. Allo stesso modo non volevo screditare il lavoro del docente o le capacità della maestra che, magari, si sarà comportata così solo con me e non con altri. Volendo fare una media, credo di aver avuto molta fortuna con le scuole di ogni ordine e grado, qui ad Agnone. Fatta qualche rara eccezione, ho avuto insegnanti che hanno compreso i miei limiti e mi hanno spinto a superarne altri, proprio in base alle mie capacità. Siamo tutti un arcobaleno di colori. E Non tutti i colori fanno per ognuno di noi.
Credo perciò che la difficoltà, la sfida, per un insegnante sia proprio quella di riuscire a trasmettere non solo nozioni, ma passione per quelle stesse informazioni che vengono trasmesse.
Per quanto riguarda la scrittura, sicuramente non è per tutti, e sicuramente ci sono testi che vanno scritti e riscritti, ma il punto è che spesso cadiamo nella spirale della correzione continua e finiamo per cercare una perfezione irraggiungibile. E, beh, questo, non fa sempre bene, a parer mio!
Giovanni, fortuna che nel mondo, e soprattutto a scuola, esistono i pasticcioni!
Pensa che io, da studentessa, go vissuto anche l’incubo dellamatita rossa e blue…ma mi ha salvato, come spesso accade, il mio prof. di Italiano!
È, co unque, è davvero piacevole leggerti!
Prof., una delle poche certezze che ho nella vita è che siano i professori di letteratura (o delle materie umanistiche) a darci di più. Probabilmente lo dico per affinità, ma deve sapere che non dimenticherò mai il mio esame di maturità e le sue parole mi hanno dato una forza unica; una ciliegina sulla torta che la mitica prof. di lettere aveva cercato di impastare e guarnire nel triennio, credendo in me e sfidandomi, giorno dopo giorno. Forse non tutti i professori di lettere salvano gli alunni, ma i miei lo hanno fatto con me. E io sono grato a tutti loro, lei inclusa!