Io non sono Lara, io sono Ubalda!

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È domenica sera, siamo a cena. Mi sono appena sparato qualcosa come sei ore di viaggio, ma, non so come, sono ancora abbastanza fresco. Il soggiorno a Milano è andato benissimo e sono pronto a godermi ancora un po’ i miei cugini e i miei nipoti. Luca, il più grande, ha appena compiuto sei anni. Ora comincio a sentirmi davvero uno zio!

Siamo cresciuti, mi dico, mentre ci guardo a tavola a chiacchierare, ridere e scherzare. La cena finisce e ci ritroviamo a parlare e giocare con i bimbi finché, come al solito, iniziamo a scherzarci e a prenderli in giro.

Improvvisamente decidiamo di ribattezzare la più piccola, Lara, chiamandola Ubalda. Passa qualche minuto e, dimenticato il gioco, la chiamiamo: “Lara?”
“Io non sono Lara” risponde lei. “Io sono Ubalda!” 
Inutile dire che scoppiamo a ridere. 

La serata va avanti e si conclude.

A distanza di qualche giorno, decidiamo di riproporre il format. Sul gruppo WhatsApp di famiglia, mando un vocale destinato a Lara e le chiedo “Ubalda che fai?”, convinto che mi tenga il gioco. La sua risposta però mi delude. “Io non sono Ubalda, zio Gio. Io sono… io sono Lara!” dice con convinzione, calcando quella R come se volesse farmelo capire: lei è Lara!

Ora, sarò sincero, mi sono soffermato troppo su questa faccenda. Sicuramente ho messo per un bel po’ il “gioco di Ubalda” al centro dei miei pensieri, ma mi sono chiesto: quand’è esattamente nella nostra vita che perdiamo la libertà di essere chi vogliamo e di fare quello che vogliamo?

Se ci rifletto, e questo è un concetto abbastanza scontato, la cosa che rende così unica l’infanzia è quel senso di libertà che, probabilmente, a un certo punto accantoniamo, nascondiamo e perdiamo. Forse la riponiamo in soffitta proprio in mezzo agli scatoloni dei vecchi peluche e dei giocattoli. Ogni tanto, saliamo all’ultimo piano di casa, la guardiamo con nostalgia e poi la rinchiudiamo ancora.

È triste. È triste pensare che, una volta adulti, quando dovremmo cominciare a capire ciò che conta davvero, possiamo scoprirci più infantili degli stessi bambini che, dal basso della loro tenera età, invece, sanno farci sentire degli scricciolini

I bambini non giudicano, non pensano alle conseguenze, a volte non pensano agli altri. Scelgono di chiamarsi Lara quando vogliono essere Lara e vestono i panni di Ubalda, quando per loro è il momento di trasformarsi in Ubalda. I bambini sono quelli che si impongono e ti dicono che no, loro non bevono più nel bicchiere di plastica con la cannuccia, ma vogliono quello dei grandi, in vetro, e finiscono, magari, per rovesciarsi tutta l’acqua addosso. Una volta zuppi però non rimpiangono la loro scelta. Semmai ridono. I bambini sono quelle creature magiche che possono trasformare due sedie nei sedili anteriori di una macchina, una coperta in un nascondiglio. I bambini possono farsi sentire anche dai vicini perché hanno deciso che una calda mattina di luglio è la giornata giusta per andare al parco a giocare con le calosce. I bambini la sanno lunga, hanno capito che in fondo, entro certi limiti, chi se ne frega di quello che dice mamma, papà, zio e nonna. I bambini hanno capito. Forse hanno capito ogni cosa. Prima di noi.

O meglio, tutti lo avevano fatto, ma poi ce lo siamo dimenticati. 

Io non sono Gio, io sono Ubaldo!

Una risposta a “Io non sono Lara, io sono Ubalda!”

  1. Gio, oppure Ubaldo, grazie per questa bellissima storia! Mi hai fatto tornare alla mente che proprio questa mattina osservavo commossa e divertita un bambino che, seduto sul sellino posteriore della bicicletta di quella che immagino fosse la mamma, teneva le braccia aperte a mo di aereoplano mentre lei pedalava in mezzo al traffico cittadino. Mi ha fatto sorridere pensare a come forse lo facevo anche io da bambina e poi, crescendo, ho iniziato a voler tenere tutto sotto controllo. C’è tanto da imparare da loro!

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