È sabato. Un grigio sabato piovoso qualunque. Uno di quelli che sa di ritorno a scuola, di preludio di autunno. Uno di quelli che probabilmente tutti vorremmo passare sotto le coperte, magari in compagnia di una persona amata oppure su un divano a guardare un horror con una ciotolona di pop-corn. Uno di quei sabato pomeriggio che potrebbe quasi incupirci.
Io, me ne sto sul divano, con una gamba al caldo e una no. Per me è ancora leggermente caldino e cerco di equilibrarmi termicamente con abbigliamento estivo ma, approfittando del tepore di un plaid che mi copre. Fatta eccezione, come dicevo prima, della gamba destra che prende fresco.
Mi guardo intorno in questo soggiorno ancora leggermente asettico, che non sono riuscito a personalizzare troppo – per il momento, e ripercorro la lista di cose da fare:
- Barba;
- Doccia;
- Lavare il bagno;
- Spolverare studio e camera da letto;
- Lavare pavimento della cucina.
Lo so. Non ce la farò a finire la lista entro oggi. Me la sto prendendo troppo comoda, ma posso rimandare a domani qualcosa.
Mia madre impazzirebbe, lo so. Non lascerebbe mai casa se c’è una macchia sul pavimento della cucina, nella mattonella che sta dietro al frigo. Figuriamoci! Io però posso fare come voglio.
Perché vivo da solo. Già, a 31 anni vivo da solo.
Niente di strano? Effettivamente no. In un normale paese civile, un giovane single che lavora dal 2015, indipendente, deve vivere da solo. È così che vanno le cose. In Italia, però, se sei uno dei pochi che è tornato nel proprio paese natio dopo l’università (cosa che desta sospetti a destra e manca) è strano che tu voglia vivere al di fuori del tetto familiare. O meglio, è quasi così che ti fanno percepire la cosa.
Ed effettivamente ci sono quasi riusciti. E quando uso il plurale non mi riferisco ai miei genitori, ma proprio a tutte le persone alle quali, con gioia, ho detto che avevo preso questa decisione.
Vuoi andare a vivere da solooo? Ma tu sei pazzoh!
Ma tu lo sai che significa? Partiamo dal cucinare. Sai cucinare? E che ti mangi?
E le bollette? E i consumi?
E le lavatrici? Ma sai lavare?
Sai stendere?
Ma sai fare la spesa?
Sai come risparmiare? E se poi non ce la fai a pagare l’affitto? E se ti capita un imprevisto? E se ti ammali? ù
E se succede qualcosa?
E perché ad Agnone?
Ma non ti conviene Roma?
Ma non ti conviene Pescara?
Scusa! Ma vattene all’estero. Sai parlare l’inglese!
Sennò la Spagna. È bellissima, paghi poche tasse e fa sempre caldo…
Ma compri casa? E perché non compri?
E dove affitti?
E quanto costa?
E la macchina?
E il garage?
Questo è solo una lista, ridotta, giuro ridotta, di tutte le domande che mi sono state poste da febbraio-marzo fino a oggi quando l’argomento viene fuori.
Ora, io potrei scrivere (e riempire) intere pagine sollevando temi sociali importanti come l’instabilità economica alla quale la mia generazione è condannata. Potrei dirvi che io, come i miei coetanei, vivo un senso di precarietà generale che, attenzione, non è donato dalla mia scellerata scelta di essere una partita IVA, ma proprio dallo stato delle cose. Tutte le cose. Tipo la gestione della nostra nazione, la politica nazionale e internazionale, la crisi climatica o, che so, la tutela di alcuni diritti. Devo proseguire? E che dire del fatto che siamo nati in un’era in cui, sembrerebbe, perfino i più qualificati faticano a trovare un impiego?
Dicevo: potrei provare ad approfondire questi temi, ma non lo farò. Non lo faccio perché non ho le giuste competenze per arricchire il web di deduzioni o nozioni che valga la pena di leggere, ma una cosa posso dirla e voglio dirla.
Sono andato a vivere da solo e, sì, fa paura.
Aspè. Fammi finire (senza che tu possa ribattere: e allora perché lo hai fatto?)! Fa paura perché è spaventoso crescere, è spaventoso staccarsi e allontanarsi, seppur per soli 180 metri, dai propri genitori. Fa paura sapere di avere tutto sulle proprie spalle e di essere responsabili delle bollette, dei costi e di ogni singolo aspetto della propria esistenza.
Fa fottutamente paura.
Ma chi non ne aveva in passato? Tu, che ti sei sposato, o sposata, a 18 anni non hai avuto paura? Tu che hai dovuto affrontare una gravidanza inattesa non hai trascorso notti insonni? Tu che hai visto i tuoi figli andare fuori, all’università, non hai provato angoscia?
Ragà, è la vita. E fa paura.
Posso perciò solo fare un appello a chi sarà consultato da noi, giovani adulti un po’ fifoni?
È una cosa semplice semplice che ti chiedo: prova semplicemente a non trasmetterci pure le tue di paturnie. Prova a riempirci le orecchie con un po’ di ottimismo. Non dico di raccontare una favola, ma semplicemente cerca di zittirti se hai solo ansie da condividere e nessun tipo di supporto.
È crescere che è un incubo. Ammettiamolo. E purtroppo non esiste libro, lezione, scuola o corso che possa insegnarci a superare certi timori se non il raggiungimento, passo dopo passo di qualche piccolo grande successo. Tipo non scolorire un calzino nero e macchiare tutto il resto del carico.
Lo sto imparando. Lo sto capendo. Qui, su questo divano.
Hai lasciato una traccia indelebile di animo coscienzioso e fiducioso. Il Mondo fa paura ma noi facciamo parte del mondo e non possiamo non affrontarlo, a meno di essere accidiosi e parassiti.
Grazie zio! Provo a fare del mio meglio, come sempre. Ce la metto tutta e spero che possa andare come vorrei. Altrimenti, pazienza…
Ma tu sei tu e ce la farai alla grande io lo so.
Grazieee… speriamo benissimo, dai!
Tranquilli ,soprattutto noi mamme italiane, mettiamo al mondo figli sani e poi ci impegnamo a volerli rendere incapaci.Tutti abbiamo commesso errori ora tocca a voi bella gioventù , conquistare il mondo
È vero. Avete fatto un ottimo lavoro con tutti noi. Se non altro vi siete impegnati moltissimo e questo è già tanto. Speriamo solo di rendervi orgogliosi, nonostante tutto!