Ho sempre saputo che la parte più bella di un viaggio è perdere la rotta. Non avevo capito però che potesse funzionare così anche nella vita.
Quello che è appena trascorso, è un week-end particolare. Durante l’ultimo fine settimana, ho messo fine a un capitolo lunghissimo: il mio percorso accademico. Mi sono laureato! Sì, fa strano pensarlo. Per ora, ho abbandonato lo status di studente che mi accompagnava da una vita e finalmente sono solo uno che lavora.
Nei giorni passati perciò ho sorriso, ho riso tantissimo, mi sono alleggerito. Ho stappato in casa, ho bevuto, ho magnato. Gaudio, giubilio e gioia, come vuole la tradizione (adattata alle nuove normative Covid, ovvio). Soprattutto però ho riflettuto.
È venerdì mattina. Sento mia madre correre da una stanza all’altra, mentre cerca di rendere il giorno della mia laurea memorabile. Il telefono le squilla in continuazione e c’è fermento. Io sono nel mio pensatoio personale: il bagno. Attaccata allo specchio, attraverso due ventose con gancio, una specie di mantellina che crea una specie di ponte tibetano per raccogliere la barba che sto per accorciare con un rasoio elettrico.
Accendo la macchinetta e inizio a fare tutte quelle smorfie strane tipiche di chi prova a radersi la barba in autonomia, senza azzopparsi una basetta. Cosa che, ammettiamolo, nessuno auspichrebbe mai, figuriamoci il giorno della propria laurea! Spingo il rasoio sul collo, ripetedomi il mio mantra preferito: “Piano, Giovà piano… piaaaaaaano”. Mi fermo un attimo e mi dico ad alta voce: – Cazzo! Ce l’hai fatta. Porca miseria, ce l’hai fatta! –
Ripenso a quando, pagando i 25 euro di tassa di iscrizione per il test di ammissione, mi chiedevo se avrei superato quella prova. 60 domande di grammatica inglese che sembravano impossibili. Torno indietro a quando decisi di lasciare il corso di cinese in cambio di quello di spagnolo, alle liti con una compagna di corso e, soprattutto, con la mia migliore amica che non vedeva di buon occhio la mia scelta di cominciare a scrivere per un giornale locale al secondo anno. Ai moniti delle persone che mi dicevano “se torni a casa non studierai. Se lavorerai non ti laurerai più”.
Vado con la mente a tutto questo e mi affiora sul viso un sorriso beffardo. “Cazzo. Ce l’ho fatta. E proprio come dicevo io”.
Mentre osservo le mie basette salve, noto con piacere che la mia barba è nuovamente ordinata e definita, mi sorrido. Non posso far altro che pensare a tutte quelle volte che mi sono domandato se avessi preso la strada giusta, se avessi fatto le scelte giuste perché tutte gli altri, quelli che stimavo, avevano fatto percorsi diversi.
Tutti siamo ossessionati dal background, dai trascorsi di chi raggiunge il successo, cerchiamo di forzarci, di fare un match tra la loro vita e la nostra. Ascoltiamo i consigli di chi ci sembra la sappia lunga, dimenticando quasi che alla fine la vita è la nostra e che non è una torta. Non puoi metterti in cucina a prepararla, seguendo una ricetta. Devi improvvisare. Insomma: la scuola e la carriera non sono New York e non esistono mappe per andare dal One World Trade all’Empire.
L’unica bussola, se proprio ne vuoi una, è la tua. Quella del tuo istinto, delle tue pulsioni. Il tuo percorso è infatti il tuo. Proprio come il mio è per l’appunto mio.
Ho impiegato dieci anni per prendere una triennale. Deludente? Nient’affatto. In questa decade ho studiato, ho lavorato, ho seguito corsi di formazione, ho cominciato a specializzarmi e, soprattutto, ho imparato a conoscermi, a dare meno importanza all’opinione altrui (ok, non sempre) e a capire che, alla fine della partita, conta solo andare a dormire sereni e svegliarsi felici.
Tutta questa menata quindi non è per giustificare il mio ritardo, ma semplicemente per ricordarti, e ricordarmi, che quando si tratta del tuo vissuto le medie di settore, le statistiche, i trend devono andare a farsi fottere. Tu sei tu! Esistono i numeri, che vanno letti sicuramente, ma che non devono ossessionarci. Perché, dal basso dei miei quasi trent’anni, posso dirti che con me le statistiche hanno sempre fallito. E non è che io sia speciale, eh!
Conosco un sacco di persone che hanno rotto questi schemi, poiché per loro non funzionavano. Tutto qua.
Perché tutti fanno così non è una risposta. Dopotutto te lo avrà detto anche tua madre: se i tuoi amici vanno a buttarsi da un ponte lo fai pure tu?
Ecco. Appunto!
La bussola per essere vista nel buio ha bisogno di luce e tu tieni sempre accesa la fiammella sulla tua bussola!
Brava Gio!
Buona vita.
Gaetano Altobelli
Ciao Gaetano! Che bella la tua frase. Grazie per averla condivisa con me.
Ce la metto tutta.
In bocca al lupo anche a te.
A presto!
Complimenti!
…alla fine della partita, conta solo andare a dormire sereni e svegliarsi felici.
E’ la mia filosofia di vita
Ciao Domenico!
Lieto di sapere che non sono l’unico. Di quello che dicono gli altri, delle strade che percorrono gli altri, non deve importarci. Sarebbe solo bello che lo capissimo prima. Prima di lasciarci ossessionare. O convincere che non “siamo abbastanza”, magari.