Fuori è grigio, ma io non ritrovo gli occhiali da vista. Sono costretto a mettermi quelli da sole. “Sono graduati, non mi guardate strano” continuo a ripetermi, come se gli altri potessero sentirmi. La carrozza del treno 9979 di Italo è piena e ho deciso di mettrere su la mascherina. Sono l’unico, ma mi viene l’ansia di riportare a casa per Natale l’influenza, il covid, il vaiolo delle scimmie e la malattia di sai il cavolo cosa! Aggiungiamoci che sono qui a tamburellare su una tastiera, come un qualsiasi scrittoruncolo in uno Starbucks e che ho una vistosa felpa viola.
Insomma: probabilmente non è solo la mia impressione, la gente mi osserva. E non perché sono il passeggero interessante. Sono il compagno di viaggio strano. Quello tanto strano. Quello che finisce oggetto di live tweet o si ritrova paparazzato nelle chat WhatsApp con partner, amici e parenti.
“Oh ci sta uno in treno che…“
Ammettiamolo: l’ho fatto io, lo hai fatto tu, lo abbiamo fatto tutti. Tutti, e dico tutti, abbiamo narrato le stranezze di un viaggio a un destinatario dislocato a chilometri di distanza.
Tutti abbiamo origliato le conversazioni dei passeggeri su un treno, un pullman, un autobus o una corriera.
Tutti ci siamo lasciati incuriosire dagli schermi di telefoni, tablet e PC di chi ci sedeva accanto, un po’ come fanno i bambini quando osservano “un grande” lavorare al computer. Già, con innocente curiosità!
Lo abbiamo fatto tutti.
E sai cos’altro abbiamo fatto tutti? Mentire a noi stessi.
Oh yeah! Se c’è una cosa che ho avuto modo di fare in questo soggiorno meneghino è stato riflettere. Mentre mi muovevo da solo in metro, mentre poltrivo nella casa di una sciura milanese, diventata il B&B gestito da qualche nipote ereditiero, continuavo a pensare a quante volte nel corso dei passati 31 anni sono stato in grado di riempirmi di bugie. E di farlo perfino spudoratamente.
Milano, per esempio, non è una brutta città. E non è vero che non ci vivrei perché è troppo frenetica. Non ci vivrei solo perché è troppo distante da casa e, io, al momento non sono in grado di allontanarmi così tanto. Domani chissà, ma ora… no!
Continuiamo a ripeterci che le persone non possono fare tutto quello che facciamo noi per loro e che non possiamo aspettarci che si comportino come noi. La realtà è che spesso gli altri semplicemente non fanno una certa cosa perché non ne hanno voglia. Non esistono grosse verità o strategie da “sgamare”. C’è solo una cosa da accettare: quella vocina, che molto chiaramente prova a metterci di fronte ai dati di fatto, andrebbe ascoltata invece che zittita.
Ci raccontiamo un sacco di balle quando ci ripetiamo che dal prossimo anno saremo in grado di fare altre cose come seguire la dieta con più attenzione, allenarci con maggiore frequenza o smetterla di rispondere sempre “Sì” a chi ci chiede favori impossibili.
Non siamo onesti con noi stessi quando ci impelaghiamo in relazioni che, già sul nascere, sembrano complicate e dolorose. E le affrontiamo, ci tuffiamo nell’oscurità sperando di superare quel banco di nebbia, previsto e annunciato da ogni meteorologo sentimentale, e di trovare ciò che vorremmo. Risultato: un bellissimo muro. Bianco. Che si mimetizza bene, ma che genera un impatto non meno doloroso degli altri.
Così mentre affrontavo un piovoso giovedì sera, dopo aver festeggiato la laurea di uno dei miei più cari amici, mi sono messo seduto sul letto e mi sono domandato perché continuassimo tutti a mentirci. Perché?
Beh, mi son detto che forse la menzogna ci rassicura. Babbo Natale esiste, ne è un esempio. Che forse proviamo a coccolarci nascondendo sotto il tappeto dolorose verità nella speranza che non dovremmo mai affrontarle.
Il punto è che poi, quando il tappeto è troppo pieno, si gonfia e, come un ordigno innescato, a un certo punto esplode. Rumorosamente.
Allora ecco: forse ogni tanto varrebbe la pena fermarsi in un angolo, spegnere la musica, allontanare il telefono, e provare a chiedersi: cosa mi dice quella vocina? In che modo, oggi, sto mentendo a me stesso?
Credimi, la verità può ferire, ma le bugie, alla fine, ti dilaniano. Lentamente e dall’interno. Una ferita continua che richiudi con fatica. A mani nude, o con un ago spuntito e senza disinfettante.
Ecco. Leggo che in molti stanno scrivendo a qualcuno cosa vogliano per Natale. La mia lista è ancora “in progress”, ma sicuramente voglio regalarmi maggiore silenzio. Proprio per dare spazio a quella voce che ha tanto da dire.
Milano, in tal senso, mi ha dato nuove consapevolezze. Mi ha fatto capire talmente tanto che credo ricorderò questi giorni come un momento mangia, prega, ama. Perciò mangerò quello che voglio, ma non me le berrò tutte. Spererò per il meglio, ma non pregherò nessuno e amerò il prossimo, ma soprattutto me stesso.